ciao a tutti, oggi ospito sul mio blog la giovane dott.ssa Antonella Fiorentino, dottoressa in Psicologia Applicata ai Contesti Istituzionali, che si interessa alla Psicologia in ambito sportivo, nella quale si sta attualmente formando; che ringrazio per la disponibilità.
Interessante articolo sulle motivazioni psicologiche che spinge il bambino a scegliere e a praticare lo sport.
La psicologia nella partecipazione allo sport nei bambini
Sono noti i benefici dello sport sul piano fisico e della salute: esso, infatti, consente la prevenzione di patologie, come l’obesità e l’ipertensione. Meno analizzati sono invece i vantaggi dal punto di vista psicologico. Questi possono andare dalla riduzione dell’ansia e di stati d’animo negativi, alla socializzazione e al miglioramento dell’autostima. Entrambe queste categorie di benefici risultano maggiormente rilevanti quando ci si interfaccia con bambini.
Diversi studiosi affermano infatti che se un “piccolo uomo” pratica attività fisica è più probabile che da adulto farà lo stesso. Tale relazione non dipenderebbe dal tipo di attività fisica svolta in giovane età.
Ma cosa spinge un bambino ad intraprendere uno sport?
Comprendere la motivazione alla base dell’attività fisica è importante non soltanto per gli allenatori o gli psicologi dello sport, ma per chiunque sia interessato a fornire a bambini e adulti un ambiente atletico in cui i partecipanti possano esperire situazioni gratificanti. Generalmente in ambito psicologico si distinguono due tipologie di motivazione: quella intrinseca, quando l’individuo mette in atto un’azione per suo desiderio di farlo, e quella estrinseca, nel caso in cui ciò avvenga poiché tale gesto consente di qualcosa dall’esterno, come premi o elogi. Passer (1982), nello specifico, individua sei categorie di motivi per i quali bambini e adolescenti sono spinti alla pratica sportiva.
Innanzitutto vi è lo sviluppo di abilità: esso indica la volontà di apprendere o migliorare alcune competenze. In secondo luogo, il bambino può essere mosso da eccitazione, ovvero dal desiderio di mettersi in sfida e partecipare ad attività nuove e interessanti.
Una terza motivazione è rappresentata dal successo: difatti, vincere una medaglia o in generale un premio, consente di essere riconosciuti e apprezzati dagli altri. Ancora, l’attività fisica può essere svolta per mantenersi in forma oppure per liberarsi da tensioni. Infine, un’ultima categoria è rappresentata dall’affiliazione: lo sport consente, soprattutto in giovane età, di relazionarsi con gli altri, stringere amicizie e fare gruppo.
Questa ultima motivazione risulta particolarmente interessante. E’ frequente, infatti, che un bambino voglia intraprendere uno sport in quanto a farlo è un suo amico. Il gruppo di pari, ovvero quel gruppo costituito da individui caratterizzati da stessa età e status sociale, rappresenta un elemento fondamentale nello sviluppo dell’individuo. I pari svolgono importanti funzioni che non possono essere assolte dagli adulti: fra queste vi sono il consentire l’acquisizione di competenze come la collaborazione, sperimentare e conoscere il mondo. Aspetto più importante è che i pari rappresentano la fonte principale di sostegno emotivo. Il bisogno di accettazione e di stringere amicizie, allora, possono spingere il bambino a
frequentare ambienti e svolgere particolari attività, fra le quali quelle sportive.
Un elemento comunque fondamentale al fine di continuare a praticare un’attività fisica è il divertimento:
d’altra parte, su questo possono influire una serie di fattori, fra i quali il rapporto con i pari, con l’allenatore e l’influenza da parte dei genitori.
Il ruolo del gruppo di pari età.
Relativamente al primo, data la sua importanza appena descritta, ne consegue che un clima poco sereno e una eccessiva competizione fra gli atleti possono causare un graduale ritiro da parte del bambino dall’attività fisica, con conseguenze non soltanto sul piano fisico. Difatti, le prime esperienze vanno a costituire dei prototipi per le successive interazioni: se allora un bambino sperimenta vergogna e fallimenti non elaborati, facendolo sentire quindi schiacciato da quella situazione, ciò potrebbe generare una tendenza ad evitare situazioni simili anche in futuro. In questo caso, quindi, si possono avere conseguenze innanzitutto a livello fisico, perché un bambino poco attivo può incorrere in diverse patologie fisiche; d’altra parte, attraverso questo ritiro egli andrà ad evitare di fare esperienze che invece risultano fondamentali per la sua crescita.
Il rapporto con l’Istruttore educatore
Per quanto riguarda l’allenatore, questo rappresenta una figura importante, non soltanto per lo sviluppo fisico dell’atleta, ma anche per quello personale. Egli ha il compito di individuare e pianificare le strategie di gioco, tenendo però anche conto dei desideri e delle motivazioni degli atleti. Diversi autori riconoscono difatti come egli sia allo stesso tempo, educatore, modello di ruolo, mentore, genitore surrogato, consigliere e amico. Fra l’allenatore e l’atleta si istaura un rapporto paragonabile a quello che Bowlby (1999,2000) definisce “attaccamento”: l’autore afferma che tutti gli esseri umani nascono con un sistema biologicamente programmato che li motiva a formare stretti legami affettivi con una persona che è in grado di agire come base sicura e rifugio. Ciò permette di sviluppare la percezione di potersi fidare di quella figura, consentendo l’esplorazione del mondo circostante. Data questa importante funzione, l’operato dell’allenatore va inevitabilmente a condizionare la prestazione e la percezione che l’atleta ha dello sport e di sé stesso. Se allora il bambino si sente accettato, apprezzato e gli vengono riconosciute le sue capacità, questo favorisce la sua partecipazione all’attività fisica. Naturalmente, ciò non vuol dire che il bambino debba essere favorito sugli altri, quanto piuttosto è fondamentale che l’allenatore sia chiaro e spieghi, ai piccoli atleti quanto ai grandi, ogni sua scelta o decisione, giustificandole, in maniera tale che l’atleta possa
comprendere la situazione e accettarla.