Penso che un istruttore di minibasket debba essere per primo un educatore, motivatore e psicologo.
Un istruttore può comunicare senza motivare, ma non potrà mai motivare senza comunicare in modo efficace.
In molti discutono sull’abbandono nell’ambito sportivo, soprattutto adolescenziale; tutte le società sportive nella loro storia hanno avuto a che fare con questo fenomeno e le motivazioni sono molteplici: dalle aspettative sempre più alte, dall’aumento dell’attività agonistica, dagli impegni scolastici, da mancanza di stimoli, dalla consapevolezza, dalla noia (causa del non miglioramento) ecc… tutti punti di vista dell’individuo, sia esso bambino o ragazzo.
In queste poche righe però vorrei ribaltare il punto di vista e cercare di capire se le associazioni sportive stanno lavorando per il bene del ragazzo o si smarriscono nel duro percorso della formazione sportiva. Capiamoci, ci sono società e società, tutte hanno obiettivi sociali e ludiche, alcune lavorano sulle prestazioni perché devono fornire campioni alle prime squadre. Secondo me il problema è trovare le giuste motivazioni per ogni fascia d’età.
Le interazioni sociali positive (con parenti, allenatore e compagni di squadra), le percezioni di competenza e il riconoscimento sociale della competenza, sono le principali cause determinanti del divertimento sportivo.
Nel minibasket il bambino sceglie lo sport più per appartenere ad un gruppo di amici con cui vuole divertirsi, giocare, entusiasmarsi, sperimentare il proprio corpo e le abilità acquisite fino a quel momento.
In queste fasi il bambino dai 5 ai 7 anni reagisce solo a ciò che è reale, concreto, presente e che appaga subito. Non programma, non fissa obiettivi troppo lontani e coglie soltanto le sollecitazioni del momento.
Non risponde a richieste troppo lontane o ai sentimenti come il senso del dovere o il gusto di imparare. Per questo alcune competizioni sono fine a se stesse e devono lasciare emozioni. Fateci caso, se chiedete ad un bambino di 7 anni che ha appena finito una partita, avrà reazioni emotive, magari legate al fatto che si sia divertito, che abbia partecipato, il risultato fine a se stesso passa in secondo piano. Faccio sempre l’esempio di mi figlio che a 6 anni gioca a calcio, partitelle dove alla fine si tirano sempre i rigori. Bene, lui si ricorda di quel momento. perché si sente protagonista (nel bene e nel male). non ha una visione del risultato legato alla classifica. ma è giusto così.
Per questo l’istruttore deve saper motivare il bambino ad esplorare il proprio corpo, a provare subito le abilità acquisite e incoraggiarlo sempre. Fare leva sulle emozioni per creare quella motivazione a migliorare le sue abilità.
Con il proseguo dell’attività il bambino tra gli 8 e i 10 anni acquisisce conoscenze e competenze, Il processo di anticipazione motoria che si basa sull’abilità di saper prevedere ciò che il nostro avversario sta per fare si afferma in maniera completa e, a questo proposito, una possibile ragione di abbandono sportivo, si presenta nei casi in cui gli allenatori e i genitori si aspettano dai giovani atleti più di quanto gli sia consentito dal loro sviluppo cognitivo.Si capisce quindi quanto sia importante conoscere cercare e comprendere quali siano i fattori che aiutano i ragazzi ad affrontare un’esperienza sportiva in modo costruttivo e duraturo nel tempo consentendo di ricavarne soddisfazione e divertimento al tempo stesso (Bordoli, Robazza, 2000).
Negli anni successivi (11-14 anni) il giovane familiarizza con il pensiero astratto e desidera vedere fin dove può arrivare, può programmare e fissarsi obiettivi a lungo temine e s’impegna nella cooperazione mentre l’adolescente (15-20 anni) può preparare gli stadi più elevati della professionalità e vivere già il ruolo di adulto (Prunelli, 2002).
Per saperne di più leggete questo Articolo di Marta Bugari – OPEN SCHOOL – Studi Cognitivi